I suoni di Alessandria del Carretto provengono da una tradizione che, come dice Paolo Napoli, “non abbiamo cercato di recuperare perché non l’abbiamo mai perduta”. Eppure si sente parlare spesso di “recupero” o di “rinascita” della musica popolare con riferimento a gruppi musicali o a manifestazioni (festival, stage, ecc.), che, almeno a parole, evocano la tradizione come quel passato da cui deriva il magico potere della tarantella. In questo movimento di rinascita la sola cosa evidente è che la musica tradizionale ha completamente perso la sua funzione socializzante. Un tempo essa era parte integrante della vita di una comunità, ne scandiva ritualmente i passaggi fondamentali, interveniva nei legami sociali e nelle passioni collettive che proprio nei suoni del paese trovavano un momento significativo di espressione cerimoniale. Ma oggi la musica popolare rinasce sulle ceneri del popolo e sulle rovine dei nostri paesi da tempo soggetti allo spopolamento. In che senso si può parlare allora di ‘tradizione’ in un tempo scandito dai ritmi di una globalizzazione che polverizza le specificità culturali? Che significato ha questa “rinascita” della musica tradizionale?
Se da un lato i mezzi di comunicazione hanno favorito una diffusione delle culture locali e dei linguaggi minori, è anche vero dall’altro che essi hanno trasformato il loro valore d’uso (la socializzazione) in mero valore di scambio (la commercializzazione). Sicché oggi la tradizione ritorna per lo più come immagine, logo, griffe, marchio di garanzia: oggi tocca alla musica come da tempo a cibi e vini.
La musica tradizionale, o almeno il suo fantasma, diviene così l’ultimo prodotto tipico locale che la Calabria mette in vendita sul mercato dell’industria culturale globale. L’immagine della tradizione nidifica nella coscienza collettiva e si traduce in generalizzato diritto al diversivo, allo svago, alla ricreazione estetica, alla liberazione dei corpi, al simpatico diletto. Teatralizzazione fittizia di un’identità in frantumi che si riplasma nei territorio del falso e dello spettacolare. I non-luoghi dell’etno-market prendono così il sopravvento sui luoghi dell’incontro e della memoria, cancellando ciò che di direttamente vissuto c’era nella musica di tradizione, e cioè il senso dei legami umani e il rapporto affettivo con la propria comunità. L’immagine della tradizione diviene prodotto affidato alla finzione ed alla fruizione di mercato: essa muta volto nel frivolo e nel pittoresco di manifestazioni turistizzate che oggi prendono il nome di festival.
Anche Alessandria del Carretto, un piccolo centro nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, ha il suo festival: «Radicazioni. Festival delle culture tradizionali», che si svolge ogni anno dal 20 al 22 agosto. Intorno a questa manifestazione accade tuttavia qualcosa che va oltre la semplice logica del festival. Radicazioni è un progetto artistico-musicale nato sette anni fa dal desiderio di “aprire un dialogo fra le culture vicine e lontane nell’era della mondializzazione”.
L’intento è proprio quello di far interagire le identità artistico-culturali, evitando sia di contaminarle a fini commerciali, sia di imporre ad esse filtri accademici. Il risultato è una festa nella quale artisti di strada, musicisti, studiosi, teatranti, pittori, costruttori di strumenti musicali e artigiani si incontrano per condividere la propria passione, le proprie abilità, il proprio talento, la propria cultura musicale. In questo modo il paese ha l’opportunità di conoscere e di ospitare artisti di culture differenti, vicine e lontane, ma trova anche l’occasione di riunire la comunità intorno ad una delle sue principali risorse culturali che ad Alessandria è data dalla memoria dei suoni tradizionali.
Il fatto davvero straordinario è che nonostante l’emigrazione (fisica e culturale) che ha svuotato negli anni il paese, ad Alessandria del Carretto la musica viene ancora vissuta come fatto sociale; i suoni antichi veicolano ancora emozioni che aderiscono alla memoria collettiva, allo scambio fra le generazioni, ai modi di vivere della comunità. Ne sono espressione la “festa della pita” e il carnevale, insieme ai tanti momenti di vita domestica e familiare (i matrimoni, i funerali, ecc.) che scandiscono il tempo comune e dove la musica è protagonista.
Ad Alessandria la musica di tradizione è stata trasmessa oralmente dagli anziani ed è ancora oggi affidata alle occasioni di ritrovo, di scambio e di socialità. La parola orale, schiacciata sotto il peso della logica imperante dell’audiovisivo, dove l’emotività dell’istante ha la meglio sui tempi dilatati dell’incontro , del racconto e della memoria , rivive ogni giorno in questo paese grazie all’amore dei nonni che trasmettono ai nipoti l’amore per il paese attraverso l’arte dei suoni. Ed è importante che oggi siano anche i giovani a trasmettere ai giovanissimi questo patrimonio. Non si capirebbe granché di Radicazioni senza sapere chi sono gli attori invisibili che stanno dietro quest’evento: Andrea Pisilli, Carmine Salamone, Leonardo Lanza (U Kiuppë), Vincenzo, Carmine e Pietro Adduci (I revaghë), Francesco Veneziano (Zi Ciccë i sciollë), Francesco Rusciano, Filomena Alfano (I Puschë), Antonio Mundo (I dargumentë), Antonio Arvia (Mastë Peppë), Alessandro Napoli (I piscëmummaghë), e tanti altri. Alcuni ancora vivi, altri purtroppo scomparsi, ma scolpiti nella memoria viva dei giovani alessandrini che hanno imparato le loro “suonate”.
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=8y5cVxqOvVE
È solo nella “memoria dei suoni” che i giovani alessandrini ritrovano la forza per organizzare da sette anni un festival che porta migliaia di persone in un paese distante da tutto, con i suoi abitanti sparsi nel mondo e tuttavia uniti nell’amore per la musica della propria comunità. Il segreto di Alessandria è racchiuso in quei nomi, nei loro volti e nel ricordo di quelli che non ci sono più, e non nei falsi discorsi sulla tradizione o in operazioni commerciali e pseudo-accademiche calate dall’alto. Alessandria del Carretto ci dà l’esempio di una comunità di giovani che non sentono il bisogno di sottomettersi agli imperativi della “società dello spettacolo” per fare cultura; una comunità che resiste alle lusinghe del denaro e all’invadenza dei nuovi “falsi culturali” dietro i quali si cela ora un impresario truffaldino, ora un direttore artistico assetato di quattrini, ora un accademico del passetto.
Di tutto ciò che in Calabria è spettacolo delle tradizioni, Alessandria del Carretto è altro: un “paese-laboratorio”, una culla musicale, la conca d’oro dei suoni.
FRANCESCO LESCE